Arbitro

Tu non sei un arbitro

Sempre più spesso mi capita di imbattermi in pagine on line che trattano del tema “cancro”… Finalmente si é arrivati a parlare apertamente del tema anche sui social network e perfino io che ero inizialmente contraria alla cosa devo ammettere ho iniziato a usare Instagram per parlare della malattia e sensibilizzare la gente alla questione prima ancora di aprire questo blog.
 
Ieri su Facebook ho letto un post di Fattore Cancro, una pagina di psico-oncologia che offre ottimi spunti a pazienti oncologici e a chi li circonda. Questo post consigliava delle frasi da rivolgere ad un malato di cancro indicando quale fossero le più adatte…l’ho trovato molto interessante…
Poi come al solito, incuriosita, sono andata a vedere i commenti. La mia attenzione é stata subito attirata da questa frase: “Chi soffre di più non è il malato ma chi lo circonda”.
 Bam! Gelo!
“Ora diciamo anche che il malato non soffre vah” penso tra me e me.
Mi passano di colpo davanti agli occhi tutte le lacrime versate, le crisi avute, gli sforzi fatti e che tutt’ora faccio per accettare di camminare in bilico sul sottile filo della vita.
Presa da un raptus impulsivo, senza troppo pensarci ho iniziato a rispondere a quel messaggio. Era la prima volta che commentavo un post del genere su un tema così delicato ma tanta era la voglia di dire la mia opinione, di dire che non condividevo minimamente quel che stava dicendo che l’ho fatto, ho ceduto. Mi sono esposta e non mi importava niente che sul quel commento ci sarebbe stato il mio nome e cognome scritto e non uno pseudonimo o Nick name qualsiasi.
Le mani andavano da sole sulla tastiera del cellulare, rapide compilavano le parole del mio testo. Secca e diretta rispondo:
“Mi dispiace smentirti ma non mi trovi d’accordo…sono sofferenze completamente diverse! Ognuno soffre a suo modo e comunque chi lo vive in prima persona fidati che soffre, eccome se soffre…parola di “malata” “.
Per me finiva lì, ero infastidita da quell’affermazione ma poi, per smorzare le emozioni che provavo in quel momento, ho pensato: “Il signore sarà un familiare, un amico che magari non conosce bene la situazione  del paziente in prima persona”.
Riprendo la mia vita senza dar troppo peso a quelle parole…

 Uno giovedì come tanti
 La mattina dopo mi trovavo in ospedale a fare il mio solito prelievo propedeutico alla terapia settimanale del pomeriggio.
Dopo ben 2 settimane di libertà, di vacanze gentilmente concesse dalla mia oncologa perché ero stata brava (come diceva lei, quando vedeva una buona TAC che mostrava stabilità), di veleggiate nel mare delle isole pontine come non facevo ormai da tempo, ritorno a percorre quel labirinto di corridoi bianchi, tutti uguali, che non sanno di niente, se non di tristezza ai miei occhi.
Era giovedì e come ogni santo giovedì che mi trovo in ospedale mi rode particolarmente.
Ad appesantire la giornata, già fin troppo pesante di suo, ci si mette anche il Signor x.
Sono in sala di attesa che aspetto pazientemente il mio turno per entrare in sala prelievi, mi connetto a Facebook per passare il tempo e trovo una notifica.
Era il Signor x che aveva commentato il mio messaggio.
“7 operazioni  in 4 anni  allo IEO
massillofacciale
Radioterapia 
Chemio 
Penso di avere voce in capitolo”.
Rimango allibita da una tale risposta, come se sbandierarmi il suo “curriculum” da malato fosse la testimonianza che la sua opinione avesse più importanza della mia e che questa fosse una sfida a chi ne avesse passate di più.
Seguito a scrivere:
“Signor x non credo sia una gara questa…”
Dopo poco altra notifica, sempre lui che imperterrito continua, non demorde il tipo, anche basta però. Risponde:
“e tu non un sei arbitro”.

Amareggiata dalla sua risposta e ancora più per aver dato seguito ad una persona del genere pongo fine alla conversazione.
 
Mi rendo conto che esprimere la propria opinione senza se e senza ma su Facebook al giorno d’oggi é diventato veramente difficile, trovi subito qualcuno pronto a fare polemica ma ancor di più a voler far prevalere le sue affermazioni sulle tue con aria di sfida. O almeno é quel che percepisco io leggendo molto spesso i commenti altrui, forse travisando il senso…
 
“Tu non sei un arbitro”, ripeto rientrando a casa. Poi mi fermo a pensare, se avessi davvero giudicato quella persona, se fossi stata troppo arrogante con quel tale. In realtà avevo semplicemente detto la mia, indicando che ognuno la vive in un modo diverso senza però imporre la mia visione. Ed ecco, sentirmi dire che quelle parole, anche se da un estraneo e per giunta maleducato, mi ha ferito…
 
Proprio per questo sono sempre più convinta di far bene a parlare della malattia principalmente sul mio blog perché lo sento un luogo “protetto”, tutto mio, in cui chi vi accede lo fa con curiosità di leggere una storia, dei racconti di vista vissuta, mettendo (almeno spero) da parte ogni astio e prevaricazione nei mie confronti.
Scrivere delle mia storia, delle mie emozioni, condividere pensieri in solitaria mi fa bene, ancor meglio forse che parlarne con il mio psicoterapeuta, il dott. G.
Questo scrivere di me non vuol dire che debba convincere qualcun altro della mia “esperienza” in campo oncologico, di sentirmi superiore a chissà chi e permettermi di dare consigli a destra e a manca. Lungi da me!
Se qualcuno vorrà commentare é perché si sentirà di farlo per condividere idee, spunti di riflessione e spero vivamente che lasci da parte arroganza e ipocrisia…
 
Salute, Pace e Amore gente!

4 commenti su “Tu non sei un arbitro”

  1. Questo articolo mi riguarda, mi descrive, mi amareggia come mi hanno amareggiata le poche conversazioni social avute su qualsiasi argomento, non solo sulla malattia. Tu hai risolto col blog, io ritirandomi entro i confini “amici” dei gruppi chiusi. Forme di protezione entrambe, perché come dici giustamente tu spazio per arroganza ed ipocrisia, nella nostra vita difficile di metastiche, non ce n’è. Un abbraccio.

    1. Già, ci vuole sensibilità e a volte le persone non ne hanno molta…sono felice che tu abbia trovato il tuo spazio “amico” come io sto trovando il mio. Un abbraccio anche a te.

  2. laura ottonelli

    bhe, credo che leggendo quell’articolo avrei avuto la tua stessa risposta. non si può certo quantificare il dolore, l’amarezza, l’ansia e non sta a nessuno fare “l’arbitro” e stabilire chi soffre di più. ognuno soffre certamente a modo suo, chi in silenzio, chi esternando il suo dolore, qualcuno lo fa scrivendo altri comunicandolo agli altri e via discorrendo. certo, qualcuno è più solo di altri in questa lotta, perciò ben venga che se ne parli e che ognuno mostri il suo modo di soffrire e di reagire. un abbraccio

    1. Ciao Laura, hai ragione! Ognuno trova la sua via di fuga nella sofferenza, ma la cosa che ritengo scorretta è additare gli altri e sentirsi superiori. Tutti abbiamo il diritto esprimere la nostra opinione nonchè il dovere di parlarne perchè, senz’altro, fa bene in generale esternare i pensieri, ma pur sempre mantenedo i dovuti toni e ripetto nei confronti del prossimo…un abbraccio a te 😉

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